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"Vele al terzo" di Marisa Zattini C’è il ricordo e la memoria del mare in questa mostra cervese di Felice Nittolo perché il simbolo della vela comprende tradizione e inafferrabilità. Quella del vento, s’intende, e quella del luogo innanzi tutto. Poi si contempla il lavoro dell’uomo che fra tradizione e natura si struttura oggi in queste opere d’arte site specific dove l’artista raddensa le sue atmosfere evocative. Si tratta di un elenco di memoria di 55 famiglie che si concentra idealmente in 55 differenti "segni di vela". « È stata una ricerca intensa e interessante che mi ha coinvolto per alcuni mesi. Quello che maggiormente mi ha attratto è stato il calcolo matematico che esiste tra il lato più piccolo della vela e il rapporto con il lato più grande. Quasi a ricordare una "sezione aurea" così come quella usata da tanti artisti (Gino Severini, ad esempio). Storicamente i primi esemplari di "vela al terzo" sono quelli delle giunche cinesi. La differenza più vistosa con le vele occidentali è sicuramente l'uso delle caratteristiche "stuoie" irrigidite da stecche di bambù disposte in senso quasi orizzontale. Le imbarcazioni armate con queste vele furono documentate anche da Marco Polo nel Milione». Si tratta dunque, come ci racconta Felice Nittolo, di una sorta di percorso di confine per significare differenti inerenze geografiche. La tradizione di queste vele auriche - che contengono nell’area interna quattro angoli denominati rispettivamente, in senso antiorario, angolo di penna o di drizza, di scotta o di caduta, di mura di inferitura o di gola - offre alla memoria dell’arte infinite esplorazioni di se stessa grazie alla neutralità del ricordo. Conservare, valorizzare e divulgare le tradizioni dell’antica marineria romagnola. Ecco allora che nel mosaico il Nostro ricerca il senso metrico armonico per ricomporre una bellezza antica. Ritroviamo in queste piccole vele al terzo il rispecchiamento della misura perfetta delle cose in una originale "avventura" che documenta l’incontro tra opera, artista e luogo. Si sa che nelle costanti dell’arte le ragioni dei suoi valori si ritrovano nella irripetibilità dell’esperienza. Qui è l’arte musiva che si celebra. Il segno talvolta può non raccontare ma solo unicamente manifestare se stesso nella sua nervosità, nel suo farsi segnale pulsante per le cromie di un frammento. Talvolta può mantenersi alieno ai drammi e ai fogli scritturali dove si raddensano gli appunti di atmosfere estreme e pure rovinose. Queste 55 piccole partiture replicano, in miniatura, l’immaginario nascosto e celato; lo interrogano rimandandoci ad una identità specchio di questa città marinara: Cervia. È stato scritto che l’idea può essere intesa come autentica "essenza del molteplice" e al contempo come modello privilegiato di tale molteplicità. Con queste vele al terzo Felice Nittolo raddensa e reinventa luoghi di memoria e di rappresentazione, fascinosamente. La luce si fa ovattata nei cromatismi sabbiosi delle piccole tessere fatte di pietre naturali o si irrora di sangue nei rossi vetrosi in discontinue dilatazioni che si sostanziano differentemente. Tessere che rifrangono e filtrano, stemperano e smaterializzano, saturano e rarefanno le nature corporee narrate. Tutto è ritmo e variazione. Una sorta di teatrini che variamente, in un puzzle combinatorio, ibridano variamente la struttura quadrangolare dell’acciaio sagomato, di supporto. Una sorta di "capricci" che lumeggiano per nuove e inedite consequenzialità. Nel 1999 si tenne a Istambul, nel Bosforo, una Biennale dal titolo La passione e l’onda. Due parole che suggerivano e raddensavano un senso carico di gioia, di desiderio e di bellezza e che potrebbero essere adottate anche oggi per questa mostra di Nittolo allestita nelle sale della Biblioteca di Cervia. L’onda rimanda all’idea di mare e di vento che è transito che increspa unisce e separa, che ci conduce in un oltre e in altrove. E la passione è un uragano che ti prende e ti travolge portandoti lontano, talora fino al naufragio… A queste 55 partiture d’amore, consolatorie di leggi geometriche perfette, si innesta la persistenza del sentimento di alcune piccole teste vetrose. Una sorta di Autoritratti realizzati dall’artista nel 1990, a Seattle. Il colore rosso - oppure azzurro come l’acqua del mare -, puro e pungente, sembra sgorgare come frutto di una preghiera esistenziale per trasfondere nuova energia. Superiormente, conficcato, un elemento anomalo: il "tagliolo", strumento caratterizzante che il mosaicista utilizza per spezzare le caratteristiche tessere di mosaico. L’ossessione come condizione della ricerca. Felice Nittolo esibisce dunque con ineguagliabile maestria e coerenza le sue riflessioni più intime siano esse fatte di piccole teste o di antiche riproposizioni di vele al terzo. Allora lasciamoci catturare dall’urto emotivo che stupisce e rapisce i sensi per «dissuggellare gli occhi sull’invisibile», come suggeriva Paul Klee.
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